Le Cave di Granito
Già gli antichi romani, esperti maestri, si erano prodigati nell’attiva di estrazione del granito del Giglio da utilizzare in grande abbondanza nelle loro costruzioni. La prima, delle 22 cave, in seguito aperte e sparse in tutta l’isola fu loro. Il granito del Giglio era particolarmente apprezzato per il suo colore, la sua solidità e la facilità con cui prendeva il lucido. Fu usato per costruire la bellissima villa romana dei Domizi Enobarbi che si estendeva dal Castellare alla caletta del saraceno. Per la costruzione della Villa Romana di Giannutri, appartenente alla stessa famiglia, dove ancora oggi si ergono alte le colonne delle rovine del Tempio di Diana. Non mancarono di utilizzarlo anche a Roma in alcuni dei monumenti più famosi.
i Romani
Dopo la caduta dell'Impero
Ma anche dopo la caduta dell’Impero romano il granito Gigliese non smise di viaggiare per tutta l’Italia ne troviamo in ben otto colonne del Battistero di Firenze, ventiquattro nel Duomo di Pisa, una, solitaria, nella chiesa di Crisostomo in Trastevere a Roma, dodici a Napoli nella chiesa dei Gerosolini, dodici, scanalate e con capitello dividono le navate della Chiesa dei Servi di Maria di Siena, otto nella facciata del Palazzo Reale a Napoli quattro nell’ingresso del palazzo Bonicelli a Roma e quella al centro del molo Innocenzo a Anzio. Proveniva dal Giglio anche la colonna che, fino a pochi anni fa, era nella piazza del Duomo di Orbetello, eretta in onore del Granduca Ferdinando III. Il granito del Giglio arrivò, ad un certo punto, perfino nelle Americhe, nel porto di Santa Fè e a Gerusalemme per adornare la chiesa di Santa Croce.
Il Granito sull'Isola
Così i gigliesi, pochi e pagati a giornata o a cottimo, con orari infiniti, con il loro granito, estratto a fatica dalle scogliere, dai declivi e da ovunque si potesse estrarre, abbellirono un bel pezzetto di Italia, senza dimenticare di abbellire il Giglio stesso e le loro case. Dalla cinta muraria di Giglio Castello, al lastricato delle strade dei pesi, dalle cisterne per la raccolta dell’alcqua, alle bitte del porto, dai lavatoi alle fontanelle tutto era scolpito e modellato dal granito. Un granito unico, per colore, modellabilità, lucentezza, intarsiato spesso di quarzo e altre pietre che segnarono allo stesso tempo la fortuna del materiale e la disgrazia degli scalpellini costretti ad evitarne le schegge negli occhi.
Cosa resta
Dopo Marconi, l’ultimo strenuo scalpellino, che tutti i giorni batteva col suo scalpello una qualche lastra di granito, par farne un posacenere, una suppellettile o qualsivoglia cosa, seduto su uno sgabello lungo la strada per andare alla Spiaggia delle Cannelle, tra turisti curiosi e giovani gigliesi distratti dal mare, dopo Marconi al Giglio di scalpellini non ne sono rimasti più. Ciò che rimane sono ancora questi oggetti, gelosamente custoditi nelle nostre case, le fonti battesimali delle Chiese di Giglio Porto e Giglio Castello e la Colonna ai caduti della Prima Guerra Mondiale, eretta Piazza Gloriosa a Giglio Castello, nel 1923 opera dello scalpellino Giuseppe Stefanini.
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